Fathi Hassan: Akkij
Opening: Thursday, 12 june | 6pm
EN:
Richard Saltoun Gallery presents AKKIJ, a solo exhibition by Egyptian-born, Edinburgh-based artist Fathi HASSAN (b. 1957), one of the leading artistic voices of the North African diaspora and a pioneer of the visual exploration of language as a space of identity and resistance.
Spanning over four decades of practice, the exhibition brings together oil paintings from the 1980s–90s with large-scale works on paper from the past two years. It takes its title from a name charged with both personal and universal resonance: Akkij is the artist’s childhood name, his Nubian name. A name that, as Hassan writes, is “a voice that comes from afar, from before writing, before imposed silence, before exile.”
This return to the name of origin is more than an autobiographical gesture—it is a poetic and political act. It invites a reconnection with an ancestral memory that exists not in archives or monuments, but in the body, in sound, in rhythm. As Hassan writes, it is a return not to a physical place, but to “a language that one does not read, but feels, traverses, dreams.”
The works on view—drawings, paintings, and text-based compositions—evoke the lost languages of ancient civilisations: invented scripts, erased alphabets, forgotten tongues. They are “unwritten pages” made of signs, textures, and sands that speak in silence. Each mark conveys a sense of sacredness and mystery. “Each sign, each material, is an attempt to pronounce again: Akkij,” Hassan writes. In his early oil paintings from the 1980s and ’90s, the focus is purely on calligraphy—bold script set against chromatic, more minimal compositions. By contrast, his recent works on paper are more layered and visually complex. Calligraphy remains central, but now merges with collaged materials, symbolic figures, and fragments of imagery. This shift reflects not only the evolution of Hassan’s style over time, but also the influence of the many places he has lived—from Egypt to Italy to Scotland. These later works feel like maps of memory: shaped by impressions, images, and languages gathered across time and place.
Born in Cairo in 1957 to a Sudanese father and Egyptian mother, Fathi Hassan grew up in a multicultural context shaped by the intersecting legacies of colonialism, migration, and oral tradition. In the early 1980s, he moved to Italy to study at the Academy of Fine Arts in Naples, where his distinctive visual language first took root. In 1988, he became one of the first African artists to participate in the Venice Biennale, exhibiting in the groundbreaking Aperto section.
Since then, Hassan has developed a singular artistic practice that fuses abstraction, materiality, and invented calligraphy. Language—particularly its absence, distortion, or illegibility—becomes a central motif in his work, a means of exploring displacement, spirituality, and the colonial suppression of identity. The scripts he creates resist comprehension; they do not ask to be read, but to be felt. They are what the artist calls a “language of the soul,” preceding all grammar.
His works are held in major international collections, including the British Museum, the Victoria & Albert Museum, the Smithsonian National Museum of African Art in Washington D.C., and the Baltimore Museum of Art.
AKKIJ is a deeply symbolic exhibition, a journey through memory and time. “It makes me resist time... take me to where the Ingenito has no footing... but wings that fly through time,” Hassan writes. In this space suspended between word and silence, dream and reality, the artist restores dignity to an often marginalised heritage—giving voice to what history has sought to erase.
IT:
Richard Saltoun Gallery presenta AKKIJ, mostra personale dell'artista di origine egiziana e residente a Edimburgo Fathi HASSAN (nato nel 1957), una delle principali voci artistiche della diaspora nordafricana e pioniere dell'esplorazione visiva del linguaggio come spazio di identità e resistenza.
La mostra, che abbraccia oltre quattro decenni di attività, riunisce dipinti a olio degli anni 1980-90 e opere su carta di grandi dimensioni degli ultimi due anni. Il titolo deriva da un nome carico di risonanze personali e universali: Akkij è il nome d'infanzia dell'artista, il suo nome nubiano. Un nome che, come scrive Hassan, è “una voce che viene da lontano, da prima della scrittura, prima del silenzio imposto, prima dell'esilio”.
Questo ritorno al nome d'origine è più di un gesto autobiografico: è un atto poetico e politico. Invita a riconnettersi con una memoria ancestrale che non esiste negli archivi o nei monumenti, ma nel corpo, nel suono, nel ritmo. Come scrive Hassan, è un ritorno non a un luogo fisico, ma a “una lingua che non si legge, ma si sente, si attraversa, si sogna”.
Le opere in mostra - disegni, dipinti e composizioni testuali - evocano le lingue perdute di antiche civiltà: scritture inventate, alfabeti cancellati, lingue dimenticate. Sono “pagine non scritte” fatte di segni, texture e sabbie che parlano in silenzio. Ogni segno trasmette un senso di sacralità e mistero. “Ogni segno, ogni materiale, è un tentativo di pronunciare di nuovo: Akkij”, scrive Hassan. Nei suoi primi dipinti a olio degli anni Ottanta e Novanta, l'attenzione si concentra esclusivamente sulla calligrafia - una scrittura in grassetto contrapposta a composizioni cromatiche e minimali. Al contrario, le sue opere recenti su carta sono più stratificate e visivamente complesse. La calligrafia rimane centrale, ma ora si fonde con materiali collage, figure simboliche e frammenti di immagini. Questo cambiamento riflette non solo l'evoluzione dello stile di Hassan nel tempo, ma anche l'influenza dei molti luoghi in cui ha vissuto, dall'Egitto all'Italia alla Scozia. Queste ultime opere sembrano mappe della memoria: modellate da impressioni, immagini e linguaggi raccolti nel tempo e nel luogo.
Nato al Cairo nel 1957 da padre sudanese e madre egiziana, Fathi Hassan è cresciuto in un contesto multiculturale plasmato dalle eredità intersecanti del colonialismo, della migrazione e della tradizione orale. All'inizio degli anni Ottanta si è trasferito in Italia per studiare all'Accademia di Belle Arti di Napoli, dove ha messo radici il suo particolare linguaggio visivo. Nel 1988 è stato uno dei primi artisti africani a partecipare alla Biennale di Venezia, esponendo nell'innovativa sezione Spazio Aperto.
Da allora, Hassan ha sviluppato una singolare pratica artistica che fonde astrazione, materialità e calligrafia inventata. Il linguaggio, in particolare la sua assenza, distorsione o illeggibilità, diventa un motivo centrale del suo lavoro, un mezzo per esplorare lo spostamento, la spiritualità e la soppressione coloniale dell'identità. Le scritture che crea resistono alla comprensione; non chiedono di essere lette, ma di essere sentite. Sono ciò che l'artista definisce un “linguaggio dell'anima”, che precede ogni grammatica.
Le sue opere sono conservate in importanti collezioni internazionali, tra cui il British Museum, il Victoria & Albert Museum, lo Smithsonian National Museum of African Art di Washington D.C. e Baltimore Museum of Art.
AKKIJ è una mostra profondamente simbolica, un viaggio nella memoria e nel tempo. “Mi fa resistere al tempo... mi porta dove l'Ingenito non ha piede... ma ali che volano attraverso il tempo”, scrive Hassan. In questo spazio sospeso tra parola e silenzio, sogno e realtà, l'artista restituisce dignità a un patrimonio spesso emarginato, dando voce a ciò che la storia ha cercato di cancellare.
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